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Cronaca

Moby Prince, i familiari delle vittime fanno causa allo Stato

Procedimento civile per accertare le responsabilità della mancata garanzia di sicurezza in mare. E in sede penale si ipotizza il reato di omicidio plurimo aggravato

Aprile, giorno 10, anno 1991. A largo di Livorno si consuma la più grande tragedia del dopoguerra della marina mercantile. Una strage, sia nell'accezione comune del termine che, come sostengono da 28 anni i familiari delle 140 vittime del Moby Prince, dal punto di vista giuridico. La petroliera Agip Abruzzo della società statale Snam, infatti, non avrebbe dovuto essere ancorata lì, in rada, in un'area vietata all'ancoraggio. E il colpevole e gravissimo ritardo dei soccorsi da parte della capitaneria di porto fu determinante nel causare la morte di molte delle persone a bordo della nave della Navarma, rimaste vive a lungo mentre il traghetto bruciava.

L'azione civile dei familiari delle vittime

È partendo da questi presupposti, evidenziati dalla relazione della commissione parlamentare d'inchiesta, che i familiari delle vittime del Moby hanno deciso di intraprendere una nuova azione civile contro lo Stato, con l'intento di fare emergere le responsabilità di chi avrebbe dovuto garantire la sicurezza in mare e invece non lo fece. Un procedimento che sarà formalizzato a maggio dagli avvocati Paolo Carrozza, Paola Bernardo, Stefano Taddia, Sabrina Peron e Ugo Milazzo, quando al foro di Firenze, competente per l'avvocatura di Stato, saranno citati la presidenza del Consiglio e i ministeri della Difesa e delle Infrastrutture e dei Trasporti, al quale si imputa appunto la violazione d'obbligo di garanzia di sicurezza in mare.

Le responsabilità della capitaneria e dello Stato

Per quanto se ne sia scritto, non sarà mai abbastanza. Neppure qualora, come ci auspichiamo, dovesse essere fatta chiarezza. Ventotto anni di battaglie tra aule di tribunali non sono stati sufficienti a fare giustizia, ma anche grazie al lavoro della commissione d'inchiesta e alla costante ricerca dei familiari delle vittime, un po' di luce su quanto veramente accadde la notte del 10 aprile 1991 è stata fatta. Una verità diversa dalle prime frettolose e "sconcertanti" inchieste delle magistrature, come sottolineato dall'avvocato penalista Carlo Melis Costa, e che mette in luce, tra i molti passaggi contenuti nella relazione del Senato, le responsabilità della capitaneria in materia di soccorsi e appunto, più in generale, quella dello Stato sulla violazione d'obbligo della garanzia di sicurezza in mare.

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La strategia in sede civile

Da qui, strategia già usata dai familiari delle vittime di Ustica, si sviluppa la nuova azione civile che i parenti dei deceduti sul Moby, con le associazioni 140 e 10 aprile a fianco nella causa, promuoveranno entro una ventina di giorni. "Era compito della capitaneria di porto di Livorno garantire la sicurezza in mare – spiegano gli avvocati Stefano Taddia e Paola Bernardo – sia per quanto riguarda la posizione in rada della petroliera che per il coordinamento dei soccorsi ed è la controparte che deve dimostrare il contrario". "Intanto – concludono i legali – chiederemo un accertamento sulle responsabilità, riservandoci in un secondo giudizio di chiedere eventuali danni".

L'ipotesi di reato di omicidio plurimo aggravato

Un percorso parallelo si avrà anche in sede penale. A confermarlo è l'avvocato Carlo Melis Costa, legale delle vittime, che ha depositato un nuovo esposto in Procura, a Livorno, partendo dalle conclusioni della commissione parlamentare d'inchiesta per ipotizzare il reato di omicidio plurimo aggravato, l'unico perseguibile dopo che tutti gli altri sono finiti in prescrizione. Molti i punti oscuri evidenziati dalla commissione che ribaltano le verità passate e che costituiscono le basi dell'esposto: dall'assenza di nebbia, al ritardo dei soccorsi, dalla posizione di ancoraggio dell'Agip Abruzzo, alla sopravvivenza a bordo di molte pesone che durò ben più di mezz'ora. Per finire con un accordo tra gli armatori e le compagnie di assicurazione, firmato il 18 giugno 1991, che per il Senato ha avuto il solo scopo di mettere "una pietra tombale su qualunque ipotesi conflittuale sulle responsabilità". Una pietra che, si augurano Loris Rispoli e Luchino Chessa, presidenti dell'associazione 140 e della onlus 10 aprile, di sollevare una volta per tutte per ottenere, finalmente, verità e giustizia.

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