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Cronaca

Morte di Denny Magina, una ferita sul corpo del giovane prima della caduta fatale. L'avvocato: "Fiducia nelle indagini"

Possibile svolta sul caso del 29enne deceduto lo scorso 22 agosto dopo essere precipitato dal quarto piano di un palazzo in via Giordano Bruno. Il legale: "Non abbiamo visto le relazioni dei medici legali, ma il nostro consulente di parte conferma il quadro"

Che fosse successo qualcosa da chiarire in quel maledetto appartamento di via Giordano Bruno dal quale, lo scorso 22 agosto, precipitò Denny Magina morendo poche ore dopo in ospedale, i familiari e gli amici del giovane 29enne lo hanno sempre sostenuto. Adesso, però, come anticipato da Il Tirreno, ci sarebbe un elemento concreto sul quale indagare e che potrebbe fare luce su quanto effettivamente avvenuto quella notte. Ovvero, una ferita - o forse più ferite - sul corpo del giovane che sarebbe precedente alla caduta e non compatibile con questa e che sarebbe stata individuata durante l'esame autoptico eseguito dai medici legali Luigi Papi e David Forni.

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Una situazione nuova che viene così spiegata dall'avvocato della famiglia Magina, Andrea Ghezzani. "Ovviamente non siamo a conoscenza della relazione che è coperta dal segreto istruttorio - dice Ghezzani a LivornoToday -, ma il nostro consulente di parte, che ha assistito agli esami, conferma il quadro di ferite non compatibili con la caduta. Di più non possiamo dire se non che abbiamo fiducia nelle indagini". E la speranza di arrivare alla verità, d'altronde, non è mai venuta meno in questi mesi in cui familiari e amici non hanno smesso un instante di chiedere "giustizia per Denny".

Adesso, spetterà ai carabinieri del nucleo radiomobile, coordinati dal pm Giuseppe Rizzo, stabilire in quali circostanze sia stata provocata la ferita trovata sul corpo di Denny e l'eventuale relazione con la morte del 29enne. Che, come ebbero modo di affermare gli stessi inquirenti a pochi giorni dalla tragedia, quella notte non era solo nell'appartamento al quarto piano del civico 8 di via Giordano Bruno, risultato poi occupato e trasformato in una vera e propria "centrale dello spaccio" da due tunisini arrestati poco più di due mesi dopo la morte di Magina.

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