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Disastro Livorno, parla Angelini: "Incapaci di gestire le pressioni, squadra senza leader. Tau-Figline la nostra condanna"

Il tecnico, sollevato dall'incarico insieme al direttore sportivo Raffaele Pinzani, spiega le ragioni del flop amaranto: "Mancata la coesione e la voglia di aiutarsi in campo, giocatori attanagliati dalla paura di non farcela. Ma mi assumo io le responsabilità"

"Mi dispiace, volevamo regalare la promozione ai tifosi, ma non ci siamo riusciti: me ne assumo tutte le responsabilità". Ci mette la faccia, Giuseppe Angelini. A poco più di quarantotto ore dalla disfatta di Pomezia, con il Livorno piegato dai rossoblù ai calci di rigore nella finalissima dei playoff nazionali, il tecnico romagnolo, sollevato dall'incarico insieme al direttore sportivo Raffaele Pinzani, ha voluto raccontare la sua verità sul flop degli amaranto, partiti con i favori del pronostico alla vigilia della stagione e, in attesa dell'esito delle indagini della giustizia sportiva su quanto accaduto in Tau-Figline, condannati al momento ad un altro anno di Eccellenza.

Buonasera mister, partiamo dall'epilogo e dall'amarezza per non essere riusciti a raggiungere quell'obiettivo inseguito per tutto l'anno.
"Sono molto dispiaciuto, sono il primo ad esserlo. Ero venuto a Livorno per vincere ed ero convinto di potercela fare, pur mettendo in conto tutte le difficoltà del caso. Negli ultimi mesi, però, sono successe tante cose e questa squadra ha denotato alcuni limiti. Mi dispiace per tutti i tifosi, ho vissuto a Livorno e mi sono legato a questa città. Mi dispiace per i baristi dei Quattro Mori, con i quali ogni mattina parlavamo di calcio, per il direttore Pinzani, per Protti, per i magazzinieri e per tutti coloro che hanno lavorato dietro le quinte: mi hanno fatto sentire a casa. Io mi assumo tutte le responsabilità del caso. Peccato perché siamo arrivati ad un centimetro dal traguardo".

Si è dato una spiegazione di questo flop?
"Non è stato un discorso tecnico. A parte l'ultimo mese, durante il quale abbiamo fatto fatica, la squadra aveva sempre giocato a calcio ed aveva una sua identità. Nelle difficoltà, però, non siamo riusciti ad andare oltre. Non abbiamo mai dato la sensazione di poter vincere agilmente ed è mancata la risposta da parte del gruppo. Con questo non voglio dire che i ragazzi non si siano impegnati, anzi, hanno sempre dato tutto, ma ci è mancato qualcosa a livello di insieme e di coesione in campo. Bisognava aiutarci di più, portare positività. I tre gol subìti decisivi per la nostra stagione, quello con il Tau ed i due di Pomezia, sono arrivati su errori di un 2001. Questo ci sta, ma i ragazzi devono essere aiutati, non solo a parole, ma con i fatti. Qualcuno doveva prendere per mano la squadra. Quello che ha dimostrato di avere più personalità è stato Gargiulo: lui non ha mai avuto paura di giocare".

Emblematica, su questo aspetto, è stata l'ultima partita con il Pomezia. Risultato dell'andata favorevole e superiorità numerica dopo un quarto d'ora: c'erano tutti gli ingredienti per un finale diverso.
"Esatto, è stata una partita emblematica: in undici contro dieci una squadra forte l'avrebbe chiusa, invece noi, paradossalmente, ci siamo rilassati. Lo stesso era accaduto nella gara di andata con il Figline. Quello che è successo con il Tau, poi, ci ha messo in ulteriore difficoltà. Avevamo una squadra composta da giocatori molto diversi tra loro, che non sono riusciti a creare un gruppo forte in campo. Io mi sono dovuto adattare, visto che il mercato era chiuso".

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Avesse potuto lei avrebbe cambiato qualcosa?
"Avrei cambiato diverse cose. Ad esempio avevamo quattro attaccanti e quattro difensori centrali, bisognava fare delle scelte. La squadra, poi, poteva giocare solo in una maniera. Quando sono arrivato, dopo le prime partite positive, pensavamo di aver risolto i problemi, che invece sono tornati nuovamente a galla nelle difficoltà. A quel punto non c'era neanche il tempo per poter intervenire".

Difficoltà che sono parse soprattutto di tipo mentale.
"Non siamo stati bravi a gestire le pressioni che comporta una piazza come Livorno. Per reggerle, ripeto, ci vuole un gruppo coeso e forte. Fuori lo siamo stati, in campo no. Livorno merita altre categorie, ma per farlo tutti si devono mettere in discussione. I tifosi sono stati eccezionali, ma servono anche altre componenti. Faccio un esempio: è impensabile non avere un campo di allenamento. Per avere un futuro serve una società solida e forte in tutti gli aspetti. Ci sono altri aspetti, poi, che mi hanno infastidito".

Quali?
"Ho sentito alcune cose, ad esempio sul perché abbia cambiato Apolloni in finale: se non lo toglievo veniva espulso. Era già ammonito, la partita era nervosa e lui andava su tutti i contrasti. Mi hanno criticato per non aver tolto Luci con il Figline, poi mi puntano il dito per la sostituzione, nella stessa situazione, di Apolloni: questo significa essere prevenuti e non corretti intellettualmente".

C'è secondo lei un episodio chiave che ha fatto volgere in negativo l'esito della stagione?
"Quello che è accaduto in Tau-Figline. Con i gialloblù avevamo perso la prima partita nella poule promozione, ma avevamo subito reagito andando a vincere a Lucca. A Figline poi potevamo già chiuderla, ma non siamo riusciti a concretizzare le occasioni create nel primo tempo. Da lì sono emersi segnali di negatività, da parte di tutto l'ambiente. Tutti hanno iniziato ad avere paura di non farcela e ciò si è trasferito alla squadra. Avere a disposizione due risultati su tre nell'ultima partita avrebbe cambiato tante cose".

Ha un rammarico, qualche scelta che, con il senno di poi, non rifarebbe?
"Ci ho pensato moltissimo, soprattutto sulle scelte fatte in finale. Quella di Palmiero nella gara di ritorno era però praticamente obbligata, visto che avevamo Franzoni squalificato e Pulina che in precedenza non aveva fatto bene. Nella partita di andata avevo provato la difesa a tre, ma abbiamo fatto meglio quando siamo tornati a quattro e quindi, per il ritorno, era giusto andare sul sicuro. I problemi, torno a ripetere, non sono però stati quelli: quando sono arrivate le difficoltà non siamo riusciti ad alzare l'asticella dal punto di vista dell'unione e della coesione in campo. Mi hanno detto che le cose migliori questa squadra le ha fatte vedere quando era in emergenza, con dodici elementi disponibili: ecco, in quel momento bisognava riuscire a creare un gruppo non di dodici, ma di venti/ventidue giocatori".

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Ha mai avuto il timore di non farcela oppure era convinto che, in un modo o nell'altro, malgrado questi problemi, l'obiettivo sarebbe stato raggiunto?
"Il timore di non farcela io non l'ho mai avuto. Ho sempre pensato che fosse dura, quello sì, ma sono convinto che ce l'avremmo fatta se avessimo avuto a disposizione due risultati su tre con il Tau. Nei playoff nazionali sapevo che sarebbe potuto succedere di tutto e lì, infatti, abbiamo fatto più fatica. Come abbiamo tirato i rigori in finale, senza convinzione e determinazione, è forse emblematico delle condizioni mentali in cui eravamo".

Il problema, però, è che ai rigori non dovevamo neanche arrivarci vista come si era messa per noi la partita.
"È vero, pensavo anch'io di poterla chiudere già al '90'. Eravamo partiti bene e la gara si era messa sui binari giusti, poi, come accaduto spesso, non siamo riusciti a compattarci nelle difficoltà. Dopo aver preso il primo gol non esiste prendere anche il secondo, così come non esiste perdere una partita come quella che abbiamo perso con il Figline: lì doveva finire 2-1. Nei momenti complicati è mancato qualcuno che si assumesse le responsabilità, cosa che accadeva ad esempio negli allenamenti".

Spesso ha sottolineato questa differenza di rendimento e di atteggiamento tra allenamenti e partita: come se la spiega?
"Non riesco a darmi una spiegazione. Faccio un esempio: prima della partita con la Maccarese, a detta di tutti, Pulina si era allenato benissimo e, in accordo con lo staff, ho quindi deciso di farlo giocare, poi in partita è stato un disastro. Queste cose però possono succedere e le superi con l'aiuto dei compagni: a noi invece è mancato questo. Ne abbiamo parlato tantissime volte con il presidente, con il ds e con Protti, ma sono cose che si creano con il tempo e con gli episodi. Ci sono squadre che hanno vinto i campionati senza prendere un euro perché magari, proprio in certe situazioni, il gruppo si compatta maggiormente".

Oggi (ieri per chi legge, ndr) è arrivata la notizia del suo esonero, insieme a quello del direttore sportivo Pinzani: se l'aspettava?
"Sì, me lo aspettavo e lo sapevo. Anche se avessimo raggiunto la promozione probabilmente non sarei stato confermato. Forse abbiamo pagato anche colpe non nostre e un po' di rammarico c'è, soprattutto se, come penso, il Livorno verrà riammesso in D. In ogni caso il mio obiettivo era vincere. Punto. Non pensavo ad altro".

Se fosse stato confermato, quali indicazioni avrebbe dato alla società? Secondo lei questa squadra deve essere rifondata o ha già una base solida da cui ripartire?
"Dipende da quale sarà la categoria. Se posso dare un consiglio alla società è quello di creare un ambiente forte ed unito, in tutte le componenti. I tifosi hanno giustamente contestato, ma sono convinto che se vedono una squadra coesa che in campo dà tutto nessuno protesta. Queste cose te le conquisti con l'atteggiamento e con il comportamento e crea una situazione in cui nessuno ha paura di non vincere, come accaduto invece quest'anno. So che è più facile a dirsi che a farsi, ma quando ho vinto i campionati, e due volte mi è capitato con formazioni partite per salvarsi, ho sempre avuto squadre così. Sappiamo che certe pressioni te le dà la maglia che indossi, lo avevo già sperimentato a Cesena dove non sono mancati momenti di difficoltà. Lì, però, si era creato un gruppo vincente, qui mi sono dovuto adattare". 

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