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Caos Livorno, il fallimento non aspetta il tribunale: la vergognosa realtà di una società fantasma

La nuova compagine societaria ha dimostrato di non stare in piedi. Dei nuovi proprietari soltanto Navarra si è materializzato e a tenere banco sono le divisioni tra soci livorosi. Il tutto, quando ci sono scadenze da rispettare e una squadra ancora da fare

Adesso dite pure che "a Livorno i giornalisti scrivono cazzate". Che sarà sicuramente vero, visti i titoli dei quotidiani di oggi, tutti diversi tra loro. Ma, forse, la colpa è anche degli interlocutori, una decina almeno per cercare di capire qualcosa in questo ginepraio societario. Tutti con una verità in tasca - e ognuna diversa - che però "non si può virgolettare". Una situazione vergognosa che svilisce la nostra professione, lascia interdetti tifosi e addetti ai lavori e genera altro caos oltre a quello che già c'è.

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Caos Livorno | Navarra e i soci di Banca Cerea tentano la scalata. Ma nessuno vuole vendere le proprie quote

Quando uno vive per troppo tempo al di sopra delle proprie possibilità prima o poi la realtà ti presenta il conto. E quando accade, e accade, accade che ci si fa male. Dopo 21 anni vissuti in una bolla, nella bolla ormai "matrigna" degli Spinelli, famiglia vituperata dai tanti, forse troppi, scienziati che popolano la nostra città, ma che a fine anno ha sempre ripianato i bilanci (badalì dicevano i soliti) e onorato gli impegni finanziari, ecco che d'improvviso il re è nudo. Livorno è ripiombata di colpo nella dimensione strapaesana dei piccoli derby del granducato da dove però questa volta rischia davvero di non riemergere.

Livorno-Lecco si giocherà davanti a mille spettatori

Nessuna presentazione ufficiale, nessun acquisto, pochissima trasparenza, nascosta da una riservatezza che confonde ancora di più. E poi il solo fatto di presentarsi alla prima di campionato con una squadra a dir poco raffazzonata la dice lunga sulle intenzioni di chi dovrebbe avere come core business il successo sportivo. C'è poco da giraci intorno: ad un certo punto arriva il momento solenne in cui si devono scucire i danari veri, il chiacchiericcio si azzera, e la parola fallimento comincia a delinearsi su un orizzonte già parecchio cupo.

E se non sarà un fallimento da libri in tribunale di sicuro si può parlare del fallimento di una nuova compagine societaria che, come la giri e la rigiri, ha già ampiamente dimostrato così com'è di non poter stare in piedi, figuriamoci pensare che sia capace di muovere passi importanti in uno scenario in cui la narrazione è complicata anche per i professionisti dell'informazione. Gli stessi diretti interessati navigano a vista, divisi e livorosi come guelfi e ghibellini, in un mare in burrasca, e sperare nel deus ex machina Rosettano Navarra (unico, tra i soci fantasma, che ad oggi si è fattivamente materializzato) come elemento risolutore di una situazione che più va avanti più si ingarbuglia, appare quasi un miraggio.

Di padri che hanno viziato figli ingrati ne è piena la letteratura, e qui nessuno ha intenzione di tratteggiare amarcord o apologie genovesi, anzi, ma occorre chiedersi se Livorno, in questi 21 anni appiattita sul perenne dibattito tra spinelliani e anti, abbia fatto davvero la sua parte. La risposta è no. Nessuna interlocuzione seria con il tessuto imprenditoriale, nessun ponte, neanche con le amministrazioni che si sono succedute, almeno per cercare di costruire attorno al bancomat genovese qualcosa di meno precario e più duraturo: il Livorno non ha una sede propria, non ha un centro sportivo se non l'ex galoppatoio di Fauglia, che al momento è poco più di un terreno incolto, ha uno stadio inaugurato negli anni Trenta del secolo scorso che cade letteralmente a pezzi e ha un piccolo patrimonio di giocatori ancora di proprietà che rischia di essere disperso da qui al 5 ottobre.

Cose risapute. Tuttavia, oggi, senza il collante Spinelli, al netto delle sue ovvie responsabilità, questa mostruosa realtà rischia di franare davanti ai pochi spettatori stanchi che hanno avuto il fegato di assistere al peggior repertorio di un'operetta di quart'ordine. Nel canovaccio, che nel frattempo è diventato una tragedia greca, non si contano le pseudo trattative imbastite con improbabili compratori, le immancabili barzellette del bonifico che parte e che non arriva, o la burletta della banca esotica di turno che sta visionando le carte. Ora, in attesa del gran finale, purtroppo abbiamo finito anche il popcorn.

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