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Don Renzo Vignocchi, il ricordo di un ex alunno del Sacro Cuore

"Girovagavo per i corridoi nel tentativo di sfuggire a una interrogazione. Poi entrai nella chiesetta dell'istituto e..."

Riceviamo e pubblichiamo il ricordo di Don Renzo Vignocchi da parte di un nostro lettore.

"Una mattina di trent'anni fa, più che meno, mi ritrovai a girovagare fuori dalla mia classe (forse la II media, sezione rigorosamente B, dell'istituto Sacro Cuore di via Cecconi) per sfuggire credo a qualche interrogazione di "educazione tecnica" o, peggio, una disciplina equipollente. Ebbene, spingendomi senza una meta precisa per i corridoi deserti dell'istituto, giusto con l'intento di far passare più tempo possibile allo scadere dell'ora e badando con circospezione massima a evitare il sicuro rimbrotto di suor Antonia, la feroce (ma buonissima) portinaia campana che quando ti beccava in fuorigioco cominciava a berciare in linguaggi pressoché incomprensibili, pensai di trovare rifugio nella tranquilla chiesetta della scuola. Un po' intimorito dalla perentoria sequenza di ordini dettati da quella o quell'altra prof che riconoscevo arrivare dalle classi in piena attività, e che mi faceva sobbalzare ogni volta che superavo via via con passo felpato la porta chiusa di un'aula dopo l'altra, giunsi dunque alla meta prescelta. Si trattava, mi par di ricordare, di una graziosa e ampia cappella, moderna, a navata unica, con una sfilza di panche anch'esse moderne in legno chiaro, capace di contenere per le funzioni comandate gran parte della chiassosa e gioiosa giovane umanità che popolava la scuola. 

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Don Renzo Vignocchi-2Ancora convinto fosse una buona idea, ché se scoperto avrei  potuto comunque giocarmi la carta di un irrefrenabile impulso alla preghiera (sempre sia lodato), aprii con estrema cautela l'uscio a spinta della cappella. Ecco che gettando rapido l'occhio nel corridoio centrale, una specie di legge del contrappasso mi colpì come un pugno nello stomaco, facendomi salire l'adrenalina a mille: da una panca, a circa metà della chiesa, sbucavano nel bel mezzo del corridoio centrale due scarponi neri, tutti infangati. A quella vista inaspettata mi prese quasi un colpo, tuttavia mi feci coraggio e avanzai con prudenza ancora maggiore. Dopo un paio di passi, percepii un sommesso brontolio ritmato provenire da quello che a quel punto ritenni decisamente fosse il corpo dormiente del proprietario dei terrosi scarponi. Ancora un passo e già mi vedevo scolaro dell'anno, l'eroe che con arguzia non comune era stato capace di scovare l'intruso ubriacone che chissà come, e soprattutto mosso da chissà quali intenti sinistri, si era pericolosamente infilato di soppiatto nell'istituto (magari nottetempo) eludendo ogni controllo, finendo poi per addormentarsi nella piccola chiesa. Restava ora l'ultimo sforzo, quello necessario a smascherare l'identità dell'energumeno russante, e già pregustavo il finale con l'epica fuga verso la portineria di suor Antonia a lanciare l'allarme. Non so se fu più la delusione o il sollievo quando mi apparve invece il faccione di don Renzo ancora incorniciato nei suoi spessi occhiali neri: disteso supino sulla dura panca dormiva della grossa, evidentemente caduto così com'era preda del sonno del giusto tra una celebrazione (troppo) mattutina e l'altra. Ciao don".

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