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Acquolina, Dario Tobia porta Livorno a San Francisco: "Locale amaranto e cacciucco, i nostri clienti dicono 'boia dé'"

Da dieci anni in California, l'imprenditore 34enne ha realizzato il 'sogno americano' aprendo locali negli Stati Uniti e anche un'azienda bio medica: "La livornesità il nostro marchio di fabbrica"

Lasciare Livorno, per un livornese, non è mai facile. E anche quando te ne vai, magari spinto dalla ricerca di un futuro migliore, il tuo cuore rimane lì, imprigionato tra la Terrazza Mascagni e via Grande, tra il Mercato Centrale e piazza Attias, tra la Venezia ed il Romito. Perché la livornesità è qualcosa che ti senti dentro, che, a chi ti chiede di dove sei, ti fa rispondere con orgoglio: "Dé, di Livorno", gonfiando il petto. E poca differenza fa se hai cambiato città, regione, Paese o addirittura continente: quel cordone ombelicale non si spezzerà mai. Come nel caso di Dario, giovane diventato uomo a San Francisco, negli Stati Uniti, dove si è trasferito nell'ormai lontano 2013 a distanza di pochi mesi dalla laurea in Economia conseguita all'Università di Pisa. A spingerlo lontano dai Quattro Mori un sogno: diventare imprenditore.

"Ristoranti e alimentazione, ecco il mio sogno americano a tinte livornesi"

Un sogno che Dario Tobia, classe 1988, è riuscito a realizzare in rapido tempo. Dopo aver lavorato per circa due anni nella società italiana AnsaldoBreda, poi ceduta nel 2015 dal gruppo Finmeccanica alla giapponese Hitachi, Dario, insieme allo zio Dario Nicotra e all'amico Marco Avila, anche loro livornesi, si è infatti tuffato nel mondo della ristorazione aprendo Acquolina, locale che, oggi, dà lavoro a ben 25 dipendenti: "Siamo molto soddisfatti di come sta andando la nostra attività - racconta a LivornoToday -. Nel nostro lavoro portiamo la nostra livornesità e la nostra goliardia, che piace tantissimo agli americani. Quando ci chiedono qualche parola in italiano, noi non possiamo che insegnarli a dire boia dé".

Livornesità che non può mancare nel colore con cui è stato arredato il locale ("Abbiamo scelto l'amaranto, non è certo un caso") e nei piatti serviti a tavola: "Per prima cosa abbiamo portato l'italianità, visto che qui la cucina regionale non è molto conosciuta, ma all'interno del nostro menù non possono mancare piatti toscani e livornesi, come ovviamente il cinque e cinque ed il cacciucco, che qui viene tradotto come cioppino. Per prepararli cerchiamo di attenerci il più possibile alla tradizione, anche se nel caso del cacciucco dobbiamo coniugare la ricetta livornese con le materie prime che ci offre il Pacifico: qui, ad esempio, è difficile trovare alcuni tipi di pesci solitamente usati, soprattutto quelli più piccoli".

Ma la triade livornese non si è fermata qui: perché dopo Acquolina ha aperto un secondo locale, il Coit Tower Café e, nel febbraio 2023, insieme ad un altro socio livornese, ne aprirà un altro, il "Via Vai" ("Sarà un ristorante di tipo diverso, faremo sempre sì cucina italiana, ma più raffinata"). Un impegno che, a Dario, non ha impedito di trovare il tempo di fondare assieme alla moglie, di origini russe e canadesi, un'azienda bio medica: la Kefir Lab, specializzata nella produzione di alimenti fermentati con coltura batterica per migliorare la flora intestinale: "Nel mondo di oggi, purtroppo, l'industria alimentare è diventata business - sottolinea Dario -. In quanto tale il suo obiettivo è massimizzare i guadagni e, per farlo, viene diminuita la qualità. Non a caso la popolazione americana conta sempre più persone affette da obesità o diabete. Come si dice, noi siamo ciò che mangiamo: ed è per questo che è importante consumare alimenti sani che aiutino il nostro intestino ed il nostro sistema immunitario".

Dario ed Erika, Kefir Lab-2
Erika e Dario nel laboratorio Kefir

"La Terrazza Mascagni e le 'vasche', a Livorno ho lasciato il cuore. Ora sogno di tornare"

Livorno, malgrado la fitta agenda di impegni, è però sempre nel cuore di Dario, che, appena può, prende l'aereo per tornare qui, nella città che lo ha cresciuto: "Torno sempre una o due volte l'anno. Già la prossima settimana, impegni di lavoro permettendo, potrei raggiungervi - afferma sorridendo -. Quando torno non può mancare una passeggiata alla Terrazza Mascagni, una delle più belle terrazze sul mare del mondo, così come non possono mancare un saluto agli amici della Barrocciaia ed un giro in centro tra i portici e piazza Attias, luoghi che mi ricordano la mia adolescenza. Qui, quando racconto come passavo le mie giornate da ragazzetto, ovvero facendo le 'vasche', le persone rimangono perplesse, considerandole quasi una perdita di tempo: per me, invece, era un investimento sociale e culturale, che oggi si sta purtroppo un po' perdendo con la diffusione dei social e delle amicizie virtuali".

Poi, finito il tempo delle vasche in via Ricasoli, per Dario venne il tempo di crescere, di decidere cosa fare della propria vita. E da qui la decisione, coraggiosa, di lasciare tutto e trasferirsi negli Usa: "Conoscevo già gli Stati Uniti, ci andavo spesso in vacanza. Durante i miei soggiorni americani rimasi innamorato da quella che è la loro sfrontata mentalità imprenditoriale: qui le idee e lo spirito di iniziativa vengono premiate e coltivate, non represse. Studiando economia a Pisa, poi, venni in contatto con persone di diverse zone d'Europa. Da lì mi si è aperto un mondo ed ho deciso di seguire il mio sogno: fare l'imprenditore. San Francisco, da questo punto di vista, è il luogo perfetto per una start up: qui c'è un indotto enorme e più piccolo sei più ricevi aiuti e supporto, a differenza di quanto accade in Italia".

Un modello che Dario, adesso, sogna di riportare qui, nel suo Paese e, soprattutto, nella sua città: "Lo ammetto, tra qualche anno mi piacerebbe tornare portando con me, nel mio piccolo, una cultura diversa da quella che c'è oggi in Italia. Mi piacerebbe far capire ai giovani che i sogni si possono realizzare e vorrei portare quegli strumenti affinché chi decide di tuffarsi in un nuovo progetto non si senta solo: serve un supporto non solo economico, ma anche di persone che siano in grado di indirizzarti in questo percorso. Voglio restituire qualcosa a quella che è e rimarrà sempre la mia città: è vero, con il tempo, vivendo negli Stati Uniti, ho perso un po' l'accento, ma il mio sangue resta amaranto. Perché noi livornesi siamo unici e quel senso di appartenza che abbiamo noi non lo ha nessun altro. E quando mi chiedono di dove sono, sapete come rispondo? Dé, di Livorno".

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