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Cronaca

Pronto Soccorso Covid al limite, Bertini: "Troppo allegri in estate, ora serve prudenza. Anche in casa, non ci sono ambienti sicuri"

Intervista al primario di Medicina d'Urgenza: "Noi vediamo chi sta veramente male, alle persone dobbiamo dare i giusti messaggi perché il virus circola con una facilità impressionante. Chi vuole sfidarlo dovrebbe avere il coraggio di rinunciare alle cure"

Chiamatelo semplicemente buonsenso. E se ancora non lo si è capito dopo i morti della prima ondata pandemica da coronavirus, fatevelo dire da chi i malati, quelli gravi, li vede tutti i giorni. Come Alessio Bertini, primario di Medicina di Urgenza e Pronto Soccorso all'ospedale di Livorno, uno di quegli eroi di marzo-aprile scorso di cui si è persa rapidamente memoria. Non si lamenta, né dello stress a cui è sottoposto il personale del reparto che dirige, ormai al limite da una settimana, né di quanto è stato o non è stato fatto per gestire al meglio questa seconda ondata. Parla pacatamente per un'ora, spiega, argomenta e alla fine si raccomanda. "Massima prudenza anche in famiglia - dice -, occorre cautela perché non ci sono ambienti sicuri, neppure in casa. Chi sfida il virus accettando liberamente di prenderlo forse dovrebbe avere anche il coraggio di rinunciare alle cure in favore di chi si ammala, suo malgrado, pur cercando di fare di tutto per proteggere gli altri e se stesso". 

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E a sfidarlo questo virus, purtroppo, sono ancora in molti, anche in virtù dei "messaggi devastanti" che sono stati dati persino da colleghi medici. "Credo sia soprattutto una questione di coscienza individuale - continua il primario -, non si tratta di terrorismo o dittatura sanitaria: sono dati di fatto sulla trasmissione del virus. Ma certe parole, indubbiamente, hanno favorito le persone a pensare cose sbagliate".

Bertini Shock Room

Dottor Bertini, cosa è cambiato rispetto alla prima ondata?
"È cambiato che il virus ce lo abbiamo in casa mentre prima il punto di riferimento era il nord Italia da dove si è diffuso a macchia d'olio verso il sud. Livorno non è stata investita, a differenza del suo ospedale che ha accolto pazienti dalla Versilia, dalla Lunigiana, da Pisa e dalle zone maggiormente colpite. Ma se la città è stata soltanto sfiorata è perché la settimana dopo la diagnosi del primo caso (2 marzo, ndr) c'è stato subito il lockdown con il Chiudi Italia. A questo giro è differente. La ripresa del virus, che non era certo stato sconfitto in estate, non viene dall'alto ma prende un po' tutti i territori, soprattutto quelli maggiormente abitati. Forse, anzi sicuramente, abbiamo passato un'estate troppo allegri. E quando la stagione è iniziata di nuovo a rinfrescare e ci siamo di nuovo radunati in spazi chiusi, quando è ripartito il lavoro e i ragazzi sono tornati a scuola, quando si è tornati nei locali e nelle palestre o a usare i mezzi pubblici, ecco che si è favorita la ripresa".

Allegri anche nella gestione, nell'organizzazione dell'ospedale e nella formazione del personale sanitario?
"Questo non lo so, ma impreparati o allegri direi di no. Credo ci sia stato un disallineamento fra la rapidità con cui il virus si diffonde e produce malati e le capacità di adattamento, di modifica degli ospedali. Ho sentito dire che bisognava raddoppiarli, ma un altro ospedale vuol dire duplicare dottori, infermieri, personale e non esistono le risorse per fare una cosa del genere. Perché di medici, ad esempio, ne necessitiamo da anni e facciamo molta fatica a trovarne. Qui si è riadattato progressivamente l'ospedale di Livorno, distribuendo le risorse verso il reparto Covid perché il numero di pazienti cresceva continuamente. Parallelamente si è ridotto le altre attività che abbiamo tuttavia tenuto aperto. Si è cercato di trovare il punto di equilibrio tra queste due esigenze, ma è stato molto complicato e non sempre l'adattamento è riuscito. Sono scelte difficili che tuttavia sono governate dal virus, non dalla politica".

Forse si doveva chiudere prima?
"L'ordine dei medici lo chiede da un po'. A mio avviso avremmo dovuto essere molto più prudenti col virus che invece abbiamo sottovalutato. Ahimé, qualcuno lo ha fatto anche tra i miei colleghi, esternando pubblicamente delle posizioni che potrebbero essere legittime in un ambito accademico e non divulgativo. Alla popolazione bisogna dare messaggi chiari e di prudenza, ma è inutile tornare indietro. Questo virus non è cambiato di una virgola: ogni tot casi ce n'è uno che finisce in ospedale e ogni tot casi dentro l'ospedale ce n'è uno che finisce in terapia intensiva. La differenza è che a marzo non li conoscevamo perché non avevamo modo di tracciare tutti, adesso li conosciamo e sono tanti. Anche negli ospedali, dove le terapie intensive iniziano a essere colme".

ospedale coronavirus pronto soccorso bertini covid (7)-2

A proposito, qual è la situazione al pronto soccorso?
"Nelle ultime 24 ore qualche numero in meno si è visto ma l'ultima settimana è stata la più impegnativa perché nel percorso del decimo padiglione (il cosiddetto percorso sporchi, ndr) sono entrati 35/40 pazienti al giorno, di cui quasi la metà positivi certi, ovvero malati che si sono aggravati a casa e che hanno avuto la necessità di trasferirsi in ospedale, e altri arrivati con sintomatologie simili di cui molti effettivamente con un'infezione da Coronavirus. Purtroppo è vero, ci siamo dovuti fermare un paio di volte per qualche ora perché contemporaneamente c'erano 25 persone e tutte le fonti di ossigeno saturate, siamo stati costretti a tenere fuori le ambulanze con pazienti in fila per poter decongestionare il reparto.
Il pronto soccorso pulito invece è più scarico, si parla di 80 accessi contro una media di 160/180 a regime normale. Di sicuro è tornata anche la paura di andare in ps ma deve essere contenuta perché altrimenti si rischia di fare danni su un altro versante. La paura non deve tenere lontano dall'ospedale le persone che invece ne hanno realmente: l'ictus, l'infarto, il trauma grave, gli incidente sono situazioni che vanno risolte presto perché se una persona arriva tardivamente per il timore di rivolgersi al pronto soccorso o al 118 è un peccato perché sarebbero potute essere curate meglio". 

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Determinante anche il lavoro dei medici di base. Ha riscontrato problematiche in particolare nel protocollo della gestione di pazienti sospetti?
"La linea generale la può dettare solo il buonsenso. È chiaro che adesso viviamo in un momento complicato, decisamente di più rispetto a un anno fa. È più complicato andare al supermercato, alla posta e anche dal medico, in virtù anche del fatto che nella prima ondata i medici sanitari sono quelli che hanno pagato un prezzo più alto di tutti,. Bisogna render conto a chi opera sul territorio che si muove in un ambito di incertezza, quindi affrontare uno per uno questi casi di persona è molto più difficile. Se per noi in ospedale è un'eccezione gestire telefonicamente i pazienti, per i colleghi di medicina di base è la regola e non la trovo neppure una regola mal messa. Perché in un colloquio spesso si raccolgono tante informazioni.
Mi sono trovato diverse volte a spiegare che non è necessario visitare di persona, toccando il paziente, e questa è una situazione che le persone difficilmente comprendono. A volte davvero basta guardare per capire lo stato di salute da come uno parla o cammina. Durante la prima ondata ha avuto un grande sviluppo tutto il meccanismo di televisite da remoto. Non so attualmente quanto questo sia tornato in auge, ma dovremmo usare molto di più la tecnologia. Un colloquio in vista con uno specialista o con un  medico generale secondo me vuol dire tantissimo, è sbagliato considerarlo inutile. E forse questo strumento potrebbe migliorare le cose. Sbagliato, invece, generalizzare che tutti gli eventi estremi e dire che si manda tutti in pronto soccorso: i casi vanno presi uno per uno e capire se c'è stato il malvezzo di qualcuno o se c'è stata una sorpresa"

Il sistema è stato però spesso oggetto di critiche e malfunzionamenti. Non è più il tempo degli eroi?
"Sono i soliti eroi che prima si scordavano di mettere il timbro sulla ricetta o facevano impazzire il paziente che cercava di capire il nome del farmaco scritto male. Così come non erano dei criminali i medici di pronto soccorso che poi sono diventati eroi. Sono i soliti personaggi che cercano di fare il proprio mestiere nel migliore dei modi, consapevoli dei rischi anche più estremi, perché a girare tra certe situazioni i rischi sono anche elevati. Però hanno deciso di fare questo mestiere e quindi lo fanno con tutti i timori e le cautele del caso.
Dico questo, per me, così evito di lasciare equivoci. Io il medico lo faccio con coscienza e negli anni tante persone mi hanno portato ringraziamenti ma qualcuno si è anche lamentato perché magari non l'ho accontentato. Il giudizio però deve tener conto di tutto, non può cambiare in base al risultato. Credo anzi che questo sia il peggior modo per valutare un medico: un medico deve essere valutato per l'impegno che ci ha messo, per l'attenzione, per la cura, per la passione, per la gentilezza e poi sì, anche per i risultati certo. Perché la medicina non ha niente a a che fare con la matematica e poco con la statistica e quindi a volte le cose fatte bene vanno male e a volte non succede niente nonostante le cose fatte male. Se uno vuole il risultato matematico si mette un computer al posto del medico, ma la medicina non è matematica".

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Intanto i medici sono stanchi tra straordinari e turni massacranti...
"I medici sono stanchi perché psicologicamente riaffrontare questa cosa è molto più pesante e difficile. I pazienti sono complicati, stanno male, sono in isolamento senza poter vedere i propri familiari. E una fetta di popolazione così in sofferenza ovviamente non fa piacere a nessuno. Forse, adesso, per noi medici la prospettiva di una chiusura in molte regioni offre già una sensazione di sollievo perché quanto meno c'è la speranza, tra una ventina di giorni, di cominciare a vedere gli effetti di questa chiusura. Qualche settimana fa questa prospettiva non ce l'avevamo. Il senso di disperazione era anche questo, ovvero percepire una situazione che stava tornando ad essere devastante senza vederne la fine. 
Da qui il senso di sconforto e di stanchezza che, ovviamente, è anche fisica. Perché dovendo ampliare se non raddoppiare le attività si è rinunciato alle ferie, si è fatto ricorso a straordinari oltre ai 3 turni della mattina, ai 7 del pomeriggio e a 7 notti, con un solo weekend libero quando va bene. Questa estate nessuno di noi ha fatto riposo dopo quei due mesi massacranti e lo dico con un po' di polemica. Ho visto molti imprenditori in grande difficoltà disperarsi ad aprile, chiedendo finanziamenti a destra e sinistra, e poi postare le foto di vacanze alle Maldive a settembre anziché fare cassa. Una cosa per me incomprensibile".

Perché non si assumono medici? Eppure bandi Asl ce ne sono in abbondanza...
"I medici di pronto soccorso sono pochi e ahimé continueranno ad esserlo per i prossimi 4/5 anni. Un carenza nota da tempo ed ancora più evidente in una situazione come questa. Le radici sono antiche e risiedono in una mancata programmazione delle attività ministeriali universitarie, ovvero delle borse di studio. C'è stata polemica anche sulla questione del numero chiuso a medicina, ma la realtà è che abbiamo tanti laureati che non sono riusciti ad entrare nelle varie scuole di specializzazione perché i posti erano i pochi. Probabilmente la medicina d'urgenza è quella messa peggio, ma non stanno bene neppure gli anestesisti, i pediatri, i radiologi e neanche gli internisti o i medici di medicina generale. C'è poco da girarci intorno: i tagli risalgono al governo Tremonti con la chiusura del numero delle borse di studio. I bandi per assumere? Se si prende la graduatoria ci sono dentro una quarantina di persone, ma di queste molte lavorano già e di fatto si tratta non di forze nuove ma di stabilizzazioni: sono persone che hanno un contratto a termine o liberi professionisti. Forze nuove non ce ne sono. Qualcosa possono fare le Regioni, come sta facendo la Toscana, ma non può bastare".

Se non ci sono risorse, c'è un altro modo per alleggerire la pressione sul personale sanitario? 
"Ribadisco: questo virus circola con una facilità impressionante. Ho raccomandato ai miei collaboratori di fare attenzione anche quando siamo a casa e lo dico a tutti: ognuno di noi, nel proprio domicilio, deve essere prudente. Le raccomandazioni sono sempre le stesse: distanziamento, mascherina e lavarsi le mani. Fino a che diamo la possibilità al virus di circolare esiste anche quella di infettarsi. Purtroppo dobbiamo cercare di tenersi il più possibile al riparo perché non ci sono ambienti in cui uno si possa sentire sicuro, nemmeno in casa propria.
Serve cautela, non dobbiamo girarci intorno. Anche io ho una madre anziana e le ho già detto che non so quando ci rivedremo. In questo momento non è il caso di rischiare, potrei essere io il veicolo di un eventuale contagio visto che sono qua in mezzo. Se tutti facessimo questa riflessione, credo possa essere d'aiuto: anziché difenderci, credo che ognuno di noi dovrebbe sviluppare la coscienza di dire: 'siccome io potrei trasmettere il virus, cosa posso fare per non trasmetterlo?'. E qui si torna anche ai messaggi giusti da dare".

E qual è il messaggio giusto da dare?
"Ne sono stati dati di devastanti che hanno favorito le persone a pensare delle cose sbagliate e invece bisogna dare quelli giusti. Non è una questione di terrorismo o dittatura sanitaria: sono dati di fatto sulla trasmissione del virus. Se qualcuno ha il coraggio di sfidarlo, fregandosene di tutto e accettando di prenderlo liberamente, forse per coerenza dovrebbe rinunciare alle cure nel caso si ammalasse, favorendo chi invece fa di tutto per proteggere se stesso e gli altri. Altrimenti è troppo comodo. Ma il concetto d'altronde è già presente. Per esempio in Inghilterra il sistema sanitario è universalistico come il nostro e le cure per l'infarto sono gratuite se stai alle regole: perché se fumi cinquanta sigarette al giorno e mangi l'ira di Dio e sei sovrappeso, non ti passano i farmaci per il cuore o per il colesterolo che pure sono salva vita. Perché dovrei salvartela quando tu non fai niente per essere salvato?".

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